A pochi giorni dalla ricorrenza del 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, il femminicidio di Giulia Cecchettin ha colpito e lasciato sgomento l’intero paese, imponendo una riflessione. Colpisce per l’età giovane dei due ragazzi, due studenti universitari con tutta la vita davanti, ormai spezzata per entrambi. Soprattutto colpisce perché in questa vicenda è lampante e chiaro quello che il ragazzo, onnipotentemente, voleva fermare: la realizzazione umana di Giulia, come donna che aveva deciso di separarsi da una relazione che non le corrispondeva più, e la sua realizzazione professionale e sociale, essendo ormai arrivata a un passo dalla laurea.
La mano dell’assassino ha agito perché troppa distanza ormai li separava, due umanità che stavano andando in direzioni diametralmente opposte. Le aveva chiesto di rallentare con gli studi, affinché lui potesse raggiungerla; le aveva chiesto di non lasciarlo, altrimenti si sarebbe tolto la vita. E poiché lei, giustamente, non si è fermata, ci ha pensato lui; i cambiamenti e le evoluzioni di lei sono stati percepiti come una minaccia, come un pericolo da eliminare per chi nasconde un vuoto e un deserto affettivo che altrimenti emergerebbero. Un’intelligenza al di sopra della media, così Giulia è stata ricordata dai suoi professori, è stata violentemente eliminata dall’odio freddo e lucido, covato sotto gli atteggiamenti apparentemente premurosi e gentili, del bravo ragazzo, timido e riservato, che nascondeva inconsapevolmente e bene la malattia della realtà umana più profonda, la perdita dell’affettività.
Malattia invisibile, che non si vede perché è assenza di qualcosa che dovrebbe esserci e che ci caratterizza come esseri umani rispetto agli animali, il mondo interiore di affetti, immagini, sogni e creatività. Malattia del pensiero non cosciente, pulsione di annullamento che rende l’altro essere umano un oggetto di cui disfarsi, anche se il pensiero cosciente non presenta alterazioni manifeste e il comportamento fino a quel momento si è mostrato ineccepibile.
Come uscire da una condizione di sopraffazione e di violenza? È indispensabile il rifiuto di questa cultura che non riconosce mai l’identità delle donne e sempre l’annulla e la opprime. E contemporaneamente è necessario un rifiuto da parte delle donne verso questi comportamenti violenti, senza timore o sensi di colpa, ricordando che il no è no, è espressione libera di se stesse.
Fondazione Massimo Fagioli
“Violenza contro le donne:
origini, dinamiche e possibilità di cambiamento”
Introduzione di Marcella Fagioli al “dialogo sulla salute mentale” con gli studenti dell’Università “Sapienza” di Roma del 20.11. 2023