Il pensiero della Fondazione Massimo Fagioli
Nel 2022 nasceva in Italia il progetto dell’Unione degli universitari e della Rete degli studenti medi dal titolo “Chiedimi come sto”. Questa semplice domanda racchiude in sé un cambiamento profondo di sguardo sulla salute mentale, una sfida alla mentalità comune che stigmatizza spesso la sofferenza psicologica come una condizione di debolezza, di mancanza di volontà, di pigrizia rispetto ai compiti e ai doveri imposti dalla società degli adulti o addirittura di cattiveria. Si ribellano inoltre ad una società impostata sulla competizione anziché sulla collaborazione, sulla solidarietà e sulla eliminazione delle diseguaglianze.
Così la generazione Z ha deciso di liberarsi dallo stigma, di chiedere aiuto senza la paura del giudizio, consapevole che chiudersi, tacere la propria sofferenza psichica non fa che aumentare il disagio, rendendo sempre più difficile un intervento che, ormai è scientificamente provato, più precocemente si propone, più si mostra efficace, non solo nel ridurre il malessere, ma nell’evitare i rischi di una cronicizzazione. Hanno idee chiare, vogliono parlare, vogliono capire, vogliono stare bene.
Latente nelle loro richieste si coglie il rifiuto dell’idea della malattia organica del cervello e la ricerca di un rapporto umano, attraverso sportelli di assistenza psicologica nelle scuole e nelle Università. E mostrano la consapevolezza che conoscersi e trasformarsi rende liberi dai sensi di colpa legati a proprie carenze.
Noi che ci occupiamo di salute mentale siamo tenuti a rispondere a questo movimento, abbiamo l’obbligo di continuare sempre la ricerca sulla realtà mentale umana e abbiamo il dovere di proporre ai giovani una idea possibile di conoscenza, resistenza e rifiuto di ciò che non è la verità della realtà umana.
Inoltre, in questa giornata mondiale sulla salute mentale, abbiamo anche il compito di individuare e denunciare quei movimenti sociali, culturali e politici che, quando nascondono la violenza invisibile della anaffettività, possono confondere e far ammalare la mente, alterare gli affetti e paralizzare le possibilità evolutive umane.
Così continuiamo a fare ricerca mostrando che ancora oggi si cerca in tutti i modi di eliminare la parola malattia legata alla parola mentale. Ad esempio, è di pochi giorni fa l’intervista ad una nota filosofa italiana, che afferma: “…bisogna avere il coraggio di attraversare le proprie emozioni, non avere paura di entrare in contatto con le proprie zone oscure”. E continua: “Stiamo attenti al mito oggi stai male, guarisci. I ragazzi, le ragazze non devono essere riparati, non c’è nulla da cui guarire. La cosa più assurda è dire dovete guarire, ma da cosa dovete guarire? Dalla vita? Dalla vita non si guarisce.”
Scopriamo così che è ancora presente nella cultura, più nascosto e discreto, ma sempre potentissimo, lo stigma sulla malattia mentale. Non si può dire che esiste, e non si può nominare perché si continua a diffondere l’idea che non c’è niente da guarire, è la vita.
È allora importante ribadire, come ha fatto qualche anno fa la presidente della Società Italiana di Psichiatria, la Prof.ssa Liliana Dell’Osso, che considerare i pazienti psichiatrici affetti da un generico disagio, come se il concetto stesso di malattia mentale fosse discriminatorio, “…è una china pericolosa, scientificamente errata ed eticamente ingiusta”, perché se non c’è la malattia si rinuncia alla cura e si accresce lo stigma e la discriminazione nei confronti della sofferenza psichica, esclusa dal campo della medicina e della ricerca della cura.
Pensiamo che la malattia mentale deve rientrare nel campo della medicina che ha come cardine l’idea di sanità e di malattia, non possiamo però condividere il pensiero che l’oggetto di studio, di ricerca, di cura nella malattia mentale sia l’organo cervello, perché sarebbe di pertinenza della neurologia. Dobbiamo invece riflettere sulla specificità del campo di indagine della psichiatria e della psicologia e scoprire che la realtà mentale umana non ha una base obiettiva, come il fegato e il cervello ed è soggetta alla più ampia variabilità individuale e ad un movimento che dura tutto l’arco della vita.
Interessante rilevare che nel percorso verso l’approvazione al Governo del nuovo Piano d’azione nazionale per la salute mentale (2025-2030) tutte le osservazioni e le proposte vanno nella direzione di considerare che la salute mentale deve essere affrontata con un modello centrato sulla persona, sulla comunità e la collettività, che tenga conto del complesso intreccio tra la biografia delle persone e il loro ambiente di vita.
Gli strumenti teorici di cui oggi disponiamo, grazie alla Teoria della nascita umana del Prof. Massimo Fagioli, affermano che nasciamo senza vuoti e dissociazione, senza zone oscure, ma con una sanità di base che se si perde si può ritrovare con un lavoro di psicoterapia che non chiede di adattarsi, ma di trasformarsi. La realtà mentale sana della nascita accomuna tutti gli esseri umani e la sua lesione è legata a precise dinamiche relazionali: noxae esterne, dimensioni invisibili di assenza e anaffettività possono causare reazioni della mente, spesso non consapevoli, che portano al vuoto, alla dissociazione, alla castrazione, alla perdita di speranza, ma sono conoscibili, nominabili, affrontabili e curabili.
Spesso non si ha consapevolezza dell’origine dell’angoscia e del vuoto della mente, perché originano nella realtà mentale non cosciente; la causa della sofferenza mentale sta lì, in una lesione della nostra realtà umana più profonda.
Le zone oscure vogliono alludere alla presenza nell’uomo di un inconscio originario malato e violento, che deve essere controllato e gestito dalla razionalità.Se poteva essere vero nella prima metà del ‘900 che la causa e la cura per la guarigione della malattia mentale era una ricerca ancora in itinere, oggi questo non è più accettabile.
Quanto scoperto e teorizzato negli anni ’70 da Fagioli, è sotto gli occhi di tutti, in primis degli addetti ai lavori, ovvero che la realtà psichica si crea simultaneamente alla nascita fisica, e tutto in noi alla nascita è umano: un corpo umano, che non è più quello del feto, perché ora contiene, è fuso alla realtà mentale non cosciente. Il non umano non c’è alla nascita, non c’è la perversione innata nell’essere umano.
La nostra realtà non cosciente elabora profondamente quello che viviamo e lo rappresenta nei sogni. L’interpretazione dei sogni è il cardine della psicoterapia che può svelarci oltre a quello che va affrontato per la cura, la ricchezza di immagini e fantasia di cui spesso non siamo consapevoli. Si può così superare quella scissione fra razionale e irrazionale, fra coscienza e inconscio, fra corpo e mente che sembra ancora caratterizzare tanti pensieri sull’essere umano.
Negare oggigiorno questa scoperta scientifica, continuare a proporre idee errate e false diventa noxa esterna iatrogena, culturalmente lesiva oltreché deontologicamente riprovevole, perché si nega la conoscenza e la cura a chi sta male. È vero che è importante per i ragazzi essere ascoltati, ma è ancora più importante che ricevano risposte serie alla loro sofferenza.